Pubblicazioni Il
Giglio e la Rosa |
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L’incipit del romanzo è solenne e di
vasto respiro: sul palcoscenico del mondo s’affaccia una nuova
creatura che, col suo primo vagito, comunica la sua presenza, reclamando
nutrimento, attenzione ed affetto. Dopo la prima puerizia, a scuola,
svilupperà intelletto e cuore e farà le prime esperienze
di vita.
Dopo questo breve prologo, entrano in scena i protagonisti della storia: sono tre ragazzi coetanei, due maschi, Enrico e Renato ed una femmina, di nome Teresa che frequentano la prima media nella stessa classe in un’imprecisata città. Appartengono a ceti diversi, ma sono tra loro legati da una salda amicizia che il tempo non riuscirà a scalfire. Enrico, figlio di un alto ufficiale e di una casalinga, è di complessione robusta, di carattere vivace, con segni di una virilità precoce. Renato, figlio di due musicisti, ha uno sguardo dolce e struggente ed uno spirito contemplativo e sognante. Teresa, dal temperamento inquieto e volubile, è orfana di entrambi i genitori e vive nel suo austero e nobile palazzo, sotto la tutela di zia Erminia. Il tempo vola ed i tre amici si ritrovano all’Università, Teresa iscritta alla facoltà di filosofia, Enrico ad Ingegneria e Renato a Lettere. La ragazza è corteggiata dai due giovani amici che, con qualità e temperamenti diversi, l’appagano nello spirito e nei sensi. Tra Renato ed Enrico, entrambi pretendenti all’amore della giovinetta, non c’è nessuna rivalità, più forte è tra loro il sentimento d’amicizia. Morta zia Erminia, Teresa diventa l’ereditiera e la beneficiaria del suo immenso patrimonio, ormai in età da marito, rappresenta un partito appetibile. Fra i vari pretendenti, grazie soprattutto all’abile strategia della madre donna Berenice, s’impone Raimondo, un giovane di bell’aspetto, magro, alto, biondo, d’ingegno vivace ed abile pianista. Il matrimonio dei due non è tutto rose e fiori, ben presto Raimondo, dominato dal vizio del gioco, dissipa un’ingente fortuna e finisce col suicidarsi. Teresa, rimasta vedova, circuita da un giovane marchese di nome Vladimiro, cede alle sue profferte amorose, si concede per una sola notte. Al risveglio, la mattina seguente, ha l’amara sorpresa che l’amante, insalutato ospite è scomparso, portando con sé il suo diadema di brillanti. I tre amici Teresa, Enrico e Renato, dopo varie peripezie e vicissitudini, si ritrovano di nuovo insieme. Enrico, vedovo e con una neonata da allevare, si sposa con Teresa. Durante la cerimonia nuziale, a sorpresa, una bambina consegna alla sposa un cofanetto aperto nel quale risplende il diadema di brillanti che le era stato rubato. A renderglielo, in segno d’affetto, è donna Isabella, zia del marchese Vladimiro, autore del furto. Questa straordinaria figura femminile, entrata nel romanzo ex abrupto, finisce per occupare saldamente la scena. L’intreccio della fabula si fa ora più fitto, ricompaiono personaggi di cui s’erano quasi perse le tracce: prima i genitori di Renato, poi quelli d’Enrico. Entrano ed escono senza farsi notare, quasi in punta di piedi, senza clamore. Il racconto, nella sua imprevedibilità diviene più interessante ed intrigante. A più riprese affiorano, come polle sorgive, pagine d’intensa poesia: è l’Inno alla Natura - frammento lirico del romanzo di Renato “L’Apocalisse e l’era dell’Acquario”, dove la prosa poetica si discioglie in musica, le parole si fanno suono, note musicali - e l'Inno alla Madre che, come un affresco, raffigura il ruolo centrale che la genitrice ha in seno alla famiglia. Poi la prosa prende il sopravvento, il discorso si fa logico, coerente, consequenziale come un sillogismo. Alcune considerazioni d’ordine psicologico che l’autore esterna con frequenza, sono giuste, sacrosante, ma forse sarebbe stato meglio non esplicitarle in maniera così analitica e dettagliata, per evitare il rallentamento del ritmo dell’azione a tutto vantaggio della riflessione e della contemplazione. L’analisi del sentimento amoroso, passionale o platonico che sia, data la sua profondità ed ampiezza, finisce col divenire una digressione che allontana l’attenzione del lettore dalla trama del racconto e dai personaggi che ne sono i protagonisti. Sono questi ultimi, con le loro passioni, sentimenti, emozioni, e contraddizioni, lo specchio della vita vera, nella quale siamo immersi ed in cui ci riconosciamo. Spesso ritorna, nei protagonisti della storia, lo scontro tra Conscio ed Inconscio, tra razionalità ed istinto, logica e sentimento, psiche e cuore, ma dei due è sempre l’Inconscio a prevalere. Lo stile è chiaro e scorrevole , la forma eletta, a volte ricercata, impreziosita da reminiscenze letterarie o da espressioni desunte dal gergo musicale. Si notano tuttavia termini desueti ed arcaici come “pronuba” “dovizie”, “etisia”, “sicumera”, “epitome”, “lambrecchini” e via dicendo. Di contro mi piace sottolineare il ricorso ad una parola francese “surplace” che mi ricorda l’abilità dei ciclisti a tenersi fermi in equilibrio sulle due ruote nelle gare di velocità su pista. Ed infine, in via del tutto eccezionale, in un autore troppo serio e compassato, uno spiraglio di comicità a proposito delle studiate espressioni del volto di donna Berenice che andavano dalla collera, allo sdegno, al sorriso benevolo, all’accondiscendenza , alla tenerezza, sino al suo cavallo di battaglia, l’ispirazione divina. In alcune pagine del libro si avverte troppa filosofia ed erudizione, una soverchia insistenza su miti e antiche credenze , sul significato cabalistico dei numeri tre, quattro, e sette, sul valore simbolico dei fiori. “L’uomo crea tutto quello che la mente umana è capace di immaginare”.. il genio confina con la follia, l’uomo è centro e misura di tutte le cose, Protagora, i presocratici, la cosmogonia, Natura e fede, il libero arbitrio, deismo, teismo, panteismo”. La tensione è forte c’è un senso di sospensione e di vuoto, si rischia la vertigine, ci si sente “penduli”, destinati ad essere sbalestrati negli spazi siderali, si avverte la sottigliezza e la gravità della fredda prosa delle Operette Morali.. Verso la conclusione del romanzo entra in gioco un altro personaggio: don Fabrizio, il padre d’Enrico. L’inserimento risponde all’esigenza di dar voce ad un uomo colto e sapiente, dal carattere rude e spigoloso, autoritario, don Fabrizio appunto che entra subito in rotta di collisione don Donna Isabella: la cultura enciclopedica contro la perspicacia e l’èsprit de finesse, di una donna sensibile, e buona affabulatrice. Con la morte di donna Isabella si chiude un ciclo. Il tempo passa e va ed i tre amici di sempre si ritrovano ancora insieme, ormai vecchi e stanchi. Nasce in loro il desiderio di una crociera su un piccolo panfilo, “un vassel leggero che ad ogni vento per mare andasse al voler vostro e mio”. Il cielo s’oscura, il mare s’agita, all’orizzonte si intravede una tromba marina che pericolosamente avanza e tutto travolge. I nostri amici ed i quattro marinai di bordo sono inghiottiti dai flutti ed annegano. Non c’è tragicità nell’evento, sembra un segno del destino, forse inconsciamente desiderato e cercato, uniti nella vita e nella morte. A questo punto s’alza sublime la sinfonia del mare, è il canto solenne delle Parche che si unisce al coro delle sirene e delle ninfe oceanine. Dalla profondità del mare, nel silenzio e nella profondissima quiete di quel mondo sommerso, appaiono i personaggi di questo romanzo, figure della storia o d’altre opere letterarie. Sono ombre, fantasmi in grado però di muoversi e di parlare. Consapevole di aver affidato alle creature del suo romanzo, i più riposti pensieri, i sentimenti ed i cari moti del cuore, il narratore li invita a comunicare con lui a rispondere alle sue domande. In sequenza sfilano davanti a lui: donna Isabella; Renato, Enrico, il filosofo Carneade col discepolo Trigezio, don Abbondio, Gertrude, Renzo, Lucia, fra Galdino e fra Fazio, Raimondo, donna Berenice, Adelina, Fabrizio, don Ferrante, Jago ed Amleto. E’ una straordinaria visione dantesca: spiriti che parlano e disquisiscono di fede e ragione, filosofia, teologia, male e bene, vizi e virtù, discernimento e follia, disperazione e speranza, armonia, amore ed eternità. E’ con questa bella immagine che si conclude un romanzo che è il racconto dei sogni, delle speranze delle riflessioni e dei profondi convincimenti etici di un uomo dallo sguardo limpido e luminoso come il cielo e dal cuore d’oro. Un romanzo che t’illumina la mente e ti riscalda il cuore.
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